Presentato al Sundance Film Festival 2017, il canale Netflix da qualche settimana sta lanciando il trailer del nuovo film che ha prodotto, interpretato da Lily Collins, Keanu Reeves e Kelly Preston e che presto sarà in visione. La trama narra di una ventenne – Ellen – affetta da anoressia nervosa che affronta un viaggio alla scoperta di sé in un centro gestito da un medico alternativo, tra momenti strazianti e divertenti.
Sulla rete il dibattito si è acceso: si parla di disturbi dell’alimentazione, di centri per la cura di questa patologia. Lily Collins si è ridotta pelle e ossa per interpretare il ruolo di una ragazza che lotta contro l’anoressia. Ma qualcuno si è complimentato per la sua linea filiforme.
La situazione è molto controversa… sarebbe interessante capire il parere di alcuni di voi.
Se ve la sentite, anche noi siamo in attesa di pareri: spettacolarizzazione della malattia? non si rischia la banalizzazione, attraverso un film di un’ora e rotti? il mezzo cinematografico, più immediato e diretto, può rappresentare un modo più efficace per riflettere sul tema? fiction e realtà: l’interprete, emaciata e notevolmente dimagrita per la parte, riceve complimenti per la linea invidiabile… che ne pensate?
Aspettiamo i vostri interventi.
A parer mio un film non è in grado di riportare la complessità della malattia, inoltre è soggetto a molteplici interpretazioni. È inevitabile che sul web ci siano pareri discordanti, non mi meraviglio del fatto che l’attrice abbia ricevuto complimenti per la sua forma fisica, sono presenti innumerevoli punti di vista e modelli di bellezza più o meno sani. Sono certa che abbia ricevuto probabilmente anche insulti. Attraverso i mezzi di comunicazione le persone tendono a non riflettere molto su quel che scrivono o non danno peso alle parole. Il rischio di questo film è proprio dato dalle interpretazioni e dalle varie letture che una persona può farne.
Io penso questo: bisogna parlarne, bisogna parlarne di più in ogni caso, con qualsiasi mezzo a nostra disposizione, bisogna abbattere i muri dell’ignoranza e della vergogna che troppo spesso ancora oggi circondano questa tipologia di disturbi.
Io ormai lo faccio liberamente, non provo disagio per ciò che sono e sono stata, ho smesso di compatirmi e di provare pietà per ciò che ho affrontato.
Questa tipologia di film sono un’arma a doppio taglio, il rischio emulazione è concreto ma dire che un film può bastare ad ammalarsi è un insulto ad una malattia che è molto più complessa di questo.
Può davvero bastare un film a far nascere un mostro del genere nel cuore e nella mente di uno spettatore? Io non credo.
Viviamo in una società schiava dell’estetica, e nemmeno questo basta a sviluppare un dca, i disturbi del comportamento alimentare hanno basi profonde e non possono nascere solo da cause cosi becere come un film, piuttosto che un libro,od una pubblicità.
Trovare un colpevole limitandosi ad alzare il dito nei confronti di un elemento terzo che a suo modo tenta far luce su un argomento cosi delicato lo trovo limitante.
Nel bene o nel male, purché se ne parli. In questo caso trovo sia una affermazione più che veritiera perché se dovesse anche solo aiutare un* ragazz* a chiedere aiuto avrebbe comunque fatto molto.
Quello che però vorrei capire io è questo: esistono centinaia di contenuti che trattano questo argomento e tutti raccontano della malattia, affrontano anche il percorso di cura, e poi vogliono farci credere che per guarire basti volerlo, come se levarsi di dosso il macigno di questo male sia al pari di lavarsi via lo sporco dalle mani. Il binomio problema- soluzione quando si parla di disturbi psicologici trovo sia ridicolo e svilente per le persone che un percorso di cura lo intraprendono seriamente.
Perché la verità dei fatti è che guarire è difficile ed io vorrei un film che mostrasse anche il dopo, cosa succede e come ci si sente quando si è consapevoli della propria situazione eppure non si fa che inciampare su quel sentiero impervio che è l’anoressia/bulimia. Ci vorrebbe più onestà intellettuale quando di trattano certi argomenti, ci vorrebbe verità, ci vorrebbero protagoniste corrose dai sensi di colpa, dalla pietà verso se stess*, bisognerebbe mostrare la fatica, le volte che pensi di aver vinto e poi ricadi e fa male da morire.
Sul dopo nessuno fa film, su quello che succede quando si è normo peso ed il problema non più cosi visibile, di quello a pochi importa ed è lì che il problema pianta radici e cresce forte e rigoglioso sotto la luce dell’indifferenza.
Forse di questo dovremmo parlare, di questo dovremmo discutere anche per far capire a chi ci si avvicina come se fosse un gioco questa malattia quanto poi sia difficiuscirne, bisognerebbe mostrare la fatica, la faccia stanca di chi lotta ancora dopo anni. Perché ci vuole coraggio soprattutto quando poi si è soli e non più sotto i riflettori, qualcuno deve dirlo che si sopravvive ogni giorno e che fa paura, e che non basta un giorno, una scelta, una ritrovata consapevolezza.
Forse dovrei aspettare di vedere il film per esprimermi a riguardo, ma per ora posso dire che mi ispira, rispetto agli altri film che trattano questa tematica sembra essere meno banale. Solitamente sembra che l’unico obiettivo del regista sia quello di suscitare compassione e il tema viene solitamente trattato in modo molto superficiale, al limite del ridicolo.
In ogni caso penso sia comunque utile parlarne, nel bene e nel male con tutte le reazioni che può scatenare, essendo un problema molto presente.
Grazie alle persone che qua sopra hanno ispirato le riflessioni.
Ci vuole “tostaggine” per mettere i propri pensieri a disposizione di tutti, particolarmente sulla rete. Sappiamo che il rischio della banalizzazione è altissimo e – sovente – siamo frenati nel prendere posizione: fraintendimenti, manipolazioni, letture spietate sono all’ordine del giorno.
Tuttavia non vogliamo vedere solo le parti negative, il famoso e noioso bicchiere mezzo vuoto; ci sono anche risvolti positivi del conversare su un tema attraverso lo strumento virtuale – il bicchiere mezzo pieno, appunto.
Così siamo curiosi.
Qualcuno che è passato dal nostro Centro ricorderà che spesso si citava un adagio che suona così: «Si sparli pure, purché se ne parli».
Noi siamo di questo avviso: è interessante che si utilizzi questo mezzo di comunicazione di massa (il film “To the bone”), attraverso nuovi mass media (questa piattaforma), che raggiungono sempre più persone, i diversi utenti di questi servizi.
Sì, potrebbe banalizzare. Spettacolarizzare è, in fondo, semplificare. Mettere al centro di una narrazione di pochi minuti (un’ora e rotti, appunto), la sofferenza, il travaglio, la tragica realtà di una persona e di quanti a questa vogliono bene, implica ridurre molto quello che capita a chi vive e supera il disturbo della nutrizione e dell’alimentazione.
…ma almeno ci sarà un effetto secondario. Quello di parlare e di ricordare ad adolescenti, alle loro famiglie, ai loro allenatori, ai loro docenti, agli educatori tutti che esiste una realtà come quella dei DCA e che ci sono molte persone che si viaggiano con questi compagni di avventura infidi e pericolosi. Che questi disturbi non sono buon tempo. Che ci soffre non ha i grilli per la testa. Che per risolvere non basta solo un po’ di buona volontà (oddìo anche quella aiuta), e nemmeno mangiare di più (be’, sì, certo che aiuta). Occorre un lavoro delicato, attento, di gruppo, che impegna tutti.
Il rischio di emulare, di imitare, di copiare è da sempre presente. Non ci sono ragazzini e ragazzine che emulano quel tale “influencer”, quella tale “socialité”, quel tipo di modello di comportamento? E’ da sempre così e certamente sempre sarà. Eppure non demonizziamo, non oscuriamo quell’artista che ha fatto certe cose. Anzi, ne parliamo.
Occorrerebbe che dopo aver visto questa fiction, la gente si documentasse. Sapere che è finzione, ma che nelle nostre città, nei nostri piccoli paesi ci sono ragazze e ragazzi che stanno vivendo un dramma e che hanno bisogno di aiuto. Varrebbe la pena che chi vede questo film inviti chi ha intorno a pensare, a valutare i comportamenti. Senza fare i bacchettoni, senza falsi moralismi. Entrare in ascolto, per creare occasione di confronto e di dialogo sul difficile tema dei disturbi alimentari.
Non sappiamo e non vogliamo fare pubblicità a una rete e a un film.
Vogliamo solo far discutere e pensare. Vogliamo che la gente apra gli occhi e sia più attenta; insomma che gli adulti vedano i loro cuccioli, che gli amici vedano i loro coetanei, che gli allenatori i loro ragazzi. Si dice far cadere sotto i sensi (= sensibilizzare), no?
Non vogliamo abbassare l’attenzione.
I nostri temi sono quelli del cadere e rialzarsi; prendersi cura della propria esistenza. Sperimentare novità, uscendo dai propri pregiudizi.
E’ lo scopo di “Sc(Hi)acciaDCA”, della nostra pagina FB, del nostro sito web, del nostro andare a parlare ai ragazzi nelle scuole…
Chiediamo a tutti di leggere gli interventi di Chiara, di Veronica e di Sara, che ringraziamo con tanto affetto.